Il Monogramma / Odisseas Elitis
Ti piangerò sempre – mi senti -
da solo, in Paradiso
IV
È presto ancora in questo mondo, mi senti
I mostri non sono stati domati, mi senti
Il mio sangue perduto e l’affilato, mi senti
Coltello
Come ariete corre nei cieli
E delle stelle spezza i rami, mi senti
Sono io, mi senti
Ti amo, mi senti
Ti prendo per mano, ti conduco, ti metto
La bianca veste nuziale di Ofelia, mi senti
Dove mi lasci, dove vai e chi, mi senti
Ti tiene per mano lassù tra i diluvi
Le gigantesche liane e la lava dei vulcani
Verrà giorno, mi senti
Che ci seppelliranno e poi, dopo migliaia di anni, mi senti
Non saremo che pietre lucenti, mi senti
Dove si rifrangerà l’indifferenza, mi senti
Degli uomini
E migliaia di pezzi da buttare, mi senti
Nell'acqua ad uno ad uno, mi senti
Conto i miei amari ciottoli, mi senti
E il tempo è una grande chiesa, mi senti
Dove le icone a volte, mi senti
Dei Santi
Piangono lacrime vere, mi senti
Le campane aprono in alto, mi senti
Un profondo valico per lasciarmi passare
Gli angeli aspettano con ceri e salmi funebri
Non me ne andrò via di qui, mi senti
O insieme tutti e due o nessuno, mi senti
Questo fiore della tempesta e, mi senti
Dell’amore
Una volta per sempre lo cogliemmo, mi senti
E non potrà più fiorire, mi senti
Su altri pianeti o stelle, mi senti
Non c’è la terra e neppure il vento
Lo stesso vento che toccammo, mi senti
E non un giardiniere che ci sia riuscito, mi senti
Da inverni e bore simili, mi senti
Spuntare un fiore, solo noi, mi senti
In mezzo al mare
Con la sola volontà dell’amore, mi senti
Alzammo intera tutta un’isola, mi senti
Con grotte, promontori e rupi in fiore
Senti, senti
Chi parla nelle acque e chi piange – senti?
Chi cerca l’altro, chi grida – senti?
Sono io che grido ed io che piango, mi senti
Ti amo, ti amo, mi senti.
Ti piangerò sempre – mi senti -
da solo, in Paradiso
IV
È presto ancora in questo mondo, mi senti
I mostri non sono stati domati, mi senti
Il mio sangue perduto e l’affilato, mi senti
Coltello
Come ariete corre nei cieli
E delle stelle spezza i rami, mi senti
Sono io, mi senti
Ti amo, mi senti
Ti prendo per mano, ti conduco, ti metto
La bianca veste nuziale di Ofelia, mi senti
Dove mi lasci, dove vai e chi, mi senti
Ti tiene per mano lassù tra i diluvi
Le gigantesche liane e la lava dei vulcani
Verrà giorno, mi senti
Che ci seppelliranno e poi, dopo migliaia di anni, mi senti
Non saremo che pietre lucenti, mi senti
Dove si rifrangerà l’indifferenza, mi senti
Degli uomini
E migliaia di pezzi da buttare, mi senti
Nell'acqua ad uno ad uno, mi senti
Conto i miei amari ciottoli, mi senti
E il tempo è una grande chiesa, mi senti
Dove le icone a volte, mi senti
Dei Santi
Piangono lacrime vere, mi senti
Le campane aprono in alto, mi senti
Un profondo valico per lasciarmi passare
Gli angeli aspettano con ceri e salmi funebri
Non me ne andrò via di qui, mi senti
O insieme tutti e due o nessuno, mi senti
Questo fiore della tempesta e, mi senti
Dell’amore
Una volta per sempre lo cogliemmo, mi senti
E non potrà più fiorire, mi senti
Su altri pianeti o stelle, mi senti
Non c’è la terra e neppure il vento
Lo stesso vento che toccammo, mi senti
E non un giardiniere che ci sia riuscito, mi senti
Da inverni e bore simili, mi senti
Spuntare un fiore, solo noi, mi senti
In mezzo al mare
Con la sola volontà dell’amore, mi senti
Alzammo intera tutta un’isola, mi senti
Con grotte, promontori e rupi in fiore
Senti, senti
Chi parla nelle acque e chi piange – senti?
Chi cerca l’altro, chi grida – senti?
Sono io che grido ed io che piango, mi senti
Ti amo, ti amo, mi senti.
L’elemento essenziale da tenere presente per comprendere la poesia di Elitis è che essa costituisce un superamento della realtà quotidiana: «Questo è in fondo la poesia», afferma egli stesso (Discorso all’Accademia di Stoccolma, p. 319) «l’arte di avvicinarci a ciò che ci oltrepassa». La sua poesia è un continuo e inquieto tentativo di vedere e di mostrare la seconda realtà, l’essenza degli esseri, la verità oltre le distorsioni imposte da qualsivoglia concezione utilitaristica.
Elitis è il «poeta della lingua» per eccellenza. Più di Seferis, più di Palamàs. Loro erano «signori della lingua» ovvero, secondo il significato che Seferis attribuiva a questa espressione, poeti che avevano il dominio dei propri mezzi espressivi. Elitis ottenne qualcosa di diverso; ottenne l’irrealizzabile: «grazie allo speciale coraggio datogli dalla Poesia» infranse le barriere della lingua convenzionale superando i limiti della lingua greca per poter esprimere il superamento della realtà quotidiana. La sua poesia esigeva un uso diverso della lingua greca, un uso poetico nel senso etimologico del termine (dal greco ποιέω, poièo: creare), una lingua che creasse nuovi significati, nuove significazioni, nuovi collegamenti tra parole, nuove frasi, in grado di condurre ad associazioni di idee polisemantiche, al significato primigenio delle parole che sgorga dal loro etimo. È riuscito ad ideare un’altra forma di lingua anticonvenzionale, capace di risvegliare ogni volta l’emozione, il sogno, il sentimento, l’immagine, la fantasia, la capacità di vedere dentro le cose, ossia la trasparenza, e di trasformare l’attimo fuggente in durata, concetto fondamentale nella poesia di Elitis.