Poesia e poeti / Nikos Raptis 2013
La poesia è una professione? Cioè, ci si può guadagnare da vivere scrivendo poesia?
Per scrivere poesia non è necessario alcuno sforzo, umile o di altro genere. Tutto ciò che serve è un lampo nel cervello, da svegli o dormendo, che dura millisecondi. Lo stesso vale per la matematica. Solo che per la matematica bisogna passare “una vita” ad assorbire i “lampi” degli altri nel corso dei millenni. Inoltre, per scrivere poesia non è necessario alcun sacrificio. Se il poeta è povero o alla fame, è una sua scelta, in quanto evita il lavoro, umile o d’altro genere. Storicamente i poeti sono persone nate in famiglie ricche. Si prenda Saffo. Era nata in una famiglia ricca, circa sei secoli prima della nascita di Cristo. Perciò la risposta alla domanda se la poesia possa essere una professione è: no. Una conclusione che concorda con la fondamentale morale pareconista.
Contro la possibile tesi che un poeta dedica una vita intera ad acquisire l’”infrastruttura” mentale necessaria per essere in grado di esprimere artisticamente, in una poesia, la condizione umana, si può opporre che tutti gli esseri umani acquisiscono, normalmente, tale “infrastruttura” all’età di cinque anni, nella strada, senza sforzi “extra”.
Dunque una persona di talento che non sia nata ricca non può diventare poeta? Certo che può. La cosa onesta da fare è, oltre a lavorare per guadagnarsi da vivere, scrivere poesia.
La poesia è una professione? Cioè, ci si può guadagnare da vivere scrivendo poesia?
Per scrivere poesia non è necessario alcuno sforzo, umile o di altro genere. Tutto ciò che serve è un lampo nel cervello, da svegli o dormendo, che dura millisecondi. Lo stesso vale per la matematica. Solo che per la matematica bisogna passare “una vita” ad assorbire i “lampi” degli altri nel corso dei millenni. Inoltre, per scrivere poesia non è necessario alcun sacrificio. Se il poeta è povero o alla fame, è una sua scelta, in quanto evita il lavoro, umile o d’altro genere. Storicamente i poeti sono persone nate in famiglie ricche. Si prenda Saffo. Era nata in una famiglia ricca, circa sei secoli prima della nascita di Cristo. Perciò la risposta alla domanda se la poesia possa essere una professione è: no. Una conclusione che concorda con la fondamentale morale pareconista.
Contro la possibile tesi che un poeta dedica una vita intera ad acquisire l’”infrastruttura” mentale necessaria per essere in grado di esprimere artisticamente, in una poesia, la condizione umana, si può opporre che tutti gli esseri umani acquisiscono, normalmente, tale “infrastruttura” all’età di cinque anni, nella strada, senza sforzi “extra”.
Dunque una persona di talento che non sia nata ricca non può diventare poeta? Certo che può. La cosa onesta da fare è, oltre a lavorare per guadagnarsi da vivere, scrivere poesia.
Un volto non comune
Josif Brodskij
Discorso per il premio Nobel
8 novembre 1987
Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché l'estetica è la madre dell’etica. Le categorie di «buono» e «cattivo» sono, in primo luogo e soprattutto categorie estetiche che precedono le categorie del «bene» e del «male». In etica non «tutto è permesso» proprio perché non «tutto è permesso» in estetica, perché il numero dei colori nello spettro solare è limitato. Il bambinello che piange e respinge la persona estranea che, al contrario, cerca di accarezzarlo, agisce istintivamente e compie una scelta estetica, non morale.
La scelta estetica è una faccenda strettamente individuale, e l’esperienza estetica è sempre un’esperienza privata. Ogni nuova realtà estetica rende ancora più privata l’esperienza individuale; e questo tipo di privatezza, che assume a volte la forma del gusto (letterario o d’altro genere), può già di per sé costituire se non una garanzia, almeno un mezzo di difesa contro l’asservimento. Infatti un uomo che ha gusto, e in particolare gusto letterario, è più refrattario ai ritornelli e agli incantesimi ritmici propri della demagogia politica in tutte le sue versioni. Il punto non è tanto che la virtù non costituisce una garanzia per la creazione di un capolavoro: è che il male, e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista. Quanto più ricca è l’esperienza estetica di un individuo, quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero - anche se non necessariamente più felice - sarà lui stesso.
Proprio in questo senso — in senso applicato piuttosto che platonico — dobbiamo intendere l’osservazione di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo, o l’affermazione di Matthew Arnold che la poesia ci salverà. Probabilmente è troppo tardi per salvare il mondo, ma per l’individuo singolo rimane sempre una possibilità. Nell’uomo l’istinto estetico si sviluppa con una certa rapidità, poiché una persona, anche se non si rende ben conto di quello che è e di quello che le è davvero necessario, sa istintivamente quello che non le piace e quello che non le si addice. In senso antropologico, ripeto, l’essere umano è una creatura estetica prima che etica. L’arte perciò, e in particolare la letteratura, non è un sottoprodotto dell’evoluzione della nostra specie, bensì proprio il contrario. Se ciò che ci distingue dagli altri rappresentanti del regno animale è la parola, allora la letteratura — e in particolare la poesia, essendo questa la forma più alta dell’espressione letteraria — è, per dire le cose fino in fondo, la meta della nostra specie.
"Dall'esilio", piccola biblioteca Adelphi, Milano, 1988, pp. 47 - 49
Josif Brodskij
Discorso per il premio Nobel
8 novembre 1987
Ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Giacché l'estetica è la madre dell’etica. Le categorie di «buono» e «cattivo» sono, in primo luogo e soprattutto categorie estetiche che precedono le categorie del «bene» e del «male». In etica non «tutto è permesso» proprio perché non «tutto è permesso» in estetica, perché il numero dei colori nello spettro solare è limitato. Il bambinello che piange e respinge la persona estranea che, al contrario, cerca di accarezzarlo, agisce istintivamente e compie una scelta estetica, non morale.
La scelta estetica è una faccenda strettamente individuale, e l’esperienza estetica è sempre un’esperienza privata. Ogni nuova realtà estetica rende ancora più privata l’esperienza individuale; e questo tipo di privatezza, che assume a volte la forma del gusto (letterario o d’altro genere), può già di per sé costituire se non una garanzia, almeno un mezzo di difesa contro l’asservimento. Infatti un uomo che ha gusto, e in particolare gusto letterario, è più refrattario ai ritornelli e agli incantesimi ritmici propri della demagogia politica in tutte le sue versioni. Il punto non è tanto che la virtù non costituisce una garanzia per la creazione di un capolavoro: è che il male, e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista. Quanto più ricca è l’esperienza estetica di un individuo, quanto più sicuro è il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero - anche se non necessariamente più felice - sarà lui stesso.
Proprio in questo senso — in senso applicato piuttosto che platonico — dobbiamo intendere l’osservazione di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo, o l’affermazione di Matthew Arnold che la poesia ci salverà. Probabilmente è troppo tardi per salvare il mondo, ma per l’individuo singolo rimane sempre una possibilità. Nell’uomo l’istinto estetico si sviluppa con una certa rapidità, poiché una persona, anche se non si rende ben conto di quello che è e di quello che le è davvero necessario, sa istintivamente quello che non le piace e quello che non le si addice. In senso antropologico, ripeto, l’essere umano è una creatura estetica prima che etica. L’arte perciò, e in particolare la letteratura, non è un sottoprodotto dell’evoluzione della nostra specie, bensì proprio il contrario. Se ciò che ci distingue dagli altri rappresentanti del regno animale è la parola, allora la letteratura — e in particolare la poesia, essendo questa la forma più alta dell’espressione letteraria — è, per dire le cose fino in fondo, la meta della nostra specie.
"Dall'esilio", piccola biblioteca Adelphi, Milano, 1988, pp. 47 - 49